Nell’ultimo quindicennio il pistacchio di Bronte ha assunto una rilevanza crescente a livello internazionale: da prodotto di nicchia ha raggiunto la grande distribuzione e gli store dedicati alle eccellenze enogastronomiche. Rai e Mediaset (Linea Verde, Vita in Diretta, Prova del Cuoco, Melaverde) hanno dato ampio risalto all’Oro Verde dell’Etna, divenuto ingrediente gourmet nell’alta ristorazione. Oggi il frutto è conosciuto in diversi Paesi europei, negli Stati Uniti, in Australia e nel mercato asiatico.
EREDITA’ DELLA DOMINAZIONE ARABA — Il frutto brontese, proteico e ricco di magnesio, ferro, vitamine e antiossidanti, è particolarmente ricercato in virtù del suo sapore aromatico, conferito dai minerali di cui è ricca la sciara dell’Etna. Impiantato alla falde del vulcano durante la dominazione araba (“Frastuca” il frutto e “Frastucara” la pianta derivano infatti dai termini arabi “fristach”, “frastuch” e “festuch” derivati a loro volta dalla voce persiana “fistich”), per le peculiari caratteristiche organolettiche è considerato il pistacchio più pregiato al mondo.
I NUMERI — Sotto la nomenclatura “Pistacchio di Bronte” troviamo un ampio spettro di prodotti, artigianali e industriali: dal frutto al naturale a pesti, creme spalmabili, dolci, gelati, arancini, torroni, paste, croccanti, panettoni e colombe. Siamo in piena ‘pistacchiomania‘, ma attenzione ai numeri.
A Bronte sono circa 3.500 gli ettari di territorio dedicati alla coltura del pistacchio. Va ricordato che la pianta fruttifica in un ciclo biennale: la raccolta avviene negli anni dispari, per un totale di circa 30.000 quintali, corripondente all’1% della produzione mondiale. Un quantitativo più che sufficiente per soddisfare i mercati locali, ma risibile se rapportato alla richiesta nazionale ed estera. I conti non tornano.
I COSTI — La coltivazione del pistacchio si localizza negli impervi terreni lavici dell’Etna, ad un’altitudine compresa tra i 400 e i 700 metri. La sciara etnea conferisce al frutto caratteristiche uniche al mondo, ma non permette l’utilizzo di macchinari. Sotto il sole cocente di inizio settembre, la raccolta avviene unicamente a mano, dopo un anno interamente dedicato a trattamenti e potatura. Proprio per questo i costi di produzione sono assai maggiori rispetto a quelli delle piantagioni turche, iraniane e californiane. Il pistacchio di Bronte, asciugato al sole e privato del mallo (la buccia bianca-rossastra esterna) e del guscio, viene venduto a circa 20 euro al chilo direttamente dal produttore. Nel mercato nazionale il prezzo al dettaglio parte dai 40 €/kg, ma lievita sensibilmente in alcuni store; la catena Eataly, ad esempio, propone il prodotto sgusciato a circa 65 €/kg. Quello estero, solitamente tostato e salato, costa meno della metà.
Nonostante il marchio D.O.P acquisito nel 2010 e la nascita del consorzio di tutela “Pistacchio Verde di Bronte D.O.P”, per i suoi costi elevati e per la fama crescente, il pistacchio etneo è oggi oggetto di numerose frodi alimentari.
GUIDA: COME RICONOSCERE IL PISTACCHIO DI BRONTE
FORMA — C’è pistacchio e pistacchio. Le produzioni straniere (Iran, Afghanistan, Turchia, California) presentano una forma tozza, tondeggiante e un guscio con una ‘bocca’ solitamente molto aperta. Quello brontese è affusolato, snello, si sviluppa in lunghezza e presenta un’apertura del guscio meno pronunciata.
COLORE — Nell’acquisto del prodotto sgusciato, o direttamente ridotto a granella, attenzione al colore: quello estero tende al giallo-bruno. Il pistacchio brontese è rivestito da una pellicina di colore viola acceso, al di sotto della quale spicca un intenso verde smeraldo.
MAI SALATO — Molto diffuso nei mercati rionali, il pistacchio tostato e salato, da consumare come snack negli aperitivi, è tipicamente estero. Il frutto di Bronte non viene mai sottoposto a questa procedura, al fine di mantenere intatte le peculiari caratteristiche organolettiche che lo rendono famoso in tutto il mondo: si trova in commercio solo al naturale e presenta un sapore dolce e persistente.
GELATO: MAI FOSFORESCENTE — Tutti noi, almeno una volta, ci siamo imbattuti in (presunti) gelati al pistacchio dalle colorazioni accese, tendenti al fluo e con un gusto ibrido tra mandorla, cannella e marzapane. Purtroppo in molte gelaterie italiane e straniere il gelato al pistacchio è ancora una mistura indefinita di essenze e coloranti. Il vero gelato al pistacchio, solitamente prodotto tramite semilavorati 100% pistacchio con l’aggiunta di granella, presenta una tonalità che dal verde tenue, spento si avvicinano al marrone chiaro.
OCCHIO ALL’ETICHETTA — Il 12 gennaio 2010 il “Pistacchio verde di Bronte” ha ottenuto l’iscrizione nel registro europeo delle DOP. Una tutela per i produttori e per i consumatori. Secondo il disciplinare, può essere riportato sotto il nome di “Pistacchio di Bronte” solo il frutto prodotto e raccolto nei terreni che fanno parte del consorzio. Quando acquistate prodotti lavorati (creme, pesti, snack) attenzione alle etichette: se il pistacchio è di Bronte, la dicitura verrà espressamente riportata nella lista degli ingredienti (Pistacchio di Bronte DOP); in caso contrario troverete nomenclature generiche, senza riferimenti geografici. Non bisogna farsi ingannare dal luogo di produzione/lavorazione: uno stabilimento con sede a Bronte, o nell’immediato hinterland, non implica necessariamente che il frutto lavorato sia di origine brontese.
Va annotata una controversia: in realtà non tutti i terreni brontesi nei quali si coltiva il pistacchio fanno parte del Consorzio di Tutela. In tal caso, il pistacchio ivi prodotto – pur presentando caratteristiche analoghe a quello certificato – può finire negli scaffali sotto la nomenclatura “Pistacchio di Sicilia”, al pari delle produzioni dell’agrigentino (in particolare, diffuso è quello di Raffadali e della Valle del Platani).
ACQUISTARE DA AZIENDE LOCALI CERTIFICATE — Per non incorrere in cattive sorprese il consiglio è sempre quello di affidarsi ad aziende certificate, che forniscano una tracciatura del prodotto chiara e trasparente. Acquistare direttamente dal produttore vi permetterà di abbattere parte dei costi della filiera.